Il genocidio armeno
La riflessione di un nostro viaggiatore
In occasione di un viaggio in Armenia nell’agosto 2018,ho potuto visitare il Memoriale del Genocidio Armeno. Appena fuori la città di Yerevan, sulla Collina delle Rondini, si trova il complesso del Memoriale e del Museo del Genocidio (Tsitsernakaberd), che commemorano il Grande Male (Metz Yeghem) ovvero il genocidio del popolo armeno perpetrato dal governo dittatoriale dei Giovani Turchi fra il 1915 e il 1917. Durante la prima guerra mondiale l’impero ottomano, governato dai Giovani turchi e alleato degli imperi centrali, mise in atto un piano di sterminio della popolazione armena, caparbiamente cristiana dal lontano 301 d. C., e a partire dall’alba di sabato 24 aprile 1915 procedette all’arresto arbitrario e all’assassinio di molti intellettuali armeni residenti a Costantinopoli. Nel tempo seguente vennero arrestati, deportati e massacrati uomini, donne, vecchi e bambini armeni prima dell’Anatolia orientale poi di quella occidentale e della Cilicia. La pulizia etnica e la persecuzione degli armeni continuarono in Turchia anche a guerra conclusa fino al 1922. Un milione e mezzo di persone persero la vita e la presenza armena nell’Anatolia orientale venne cancellata. Le richieste di intervento per fermare quello che successivamente sarebbe stato considerato il primo genocidio del Novecento furono pochissime. Infatti la guerra assorbiva le forze delle grandi potenze europee e distraeva l’attenzione di tutti. Pochi coraggiosi missionari, medici e diplomatici stranieri alzarono la voce, ma invano.
Il console italiano Giacomo Gorrini il 25 agosto 1915 rilasciò un’intervista a IL MESSAGGERO per denunciare i massacri. Su IL RESTO DEL CARLINO del 15 ottobre 1915 venne pubblicato un appello di notabilità svizzere sulla ferocia turca contro gli armeni allo scopo di annientare sistematicamente un popolo (quello armeno) e stabilire nell’impero turco la supremazia islamica. Lo stesso papa Benedetto XV scrisse al sultano per deplorare il massacro. Persino Hitler nel 1939,in procinto di invadere la Polonia, chiese provocatoriamente chi ricordasse e parlasse più del genocidio degli armeni.
La Turchia da sempre nega le proprie responsabilità e non ammette che si trattasse di genocidio. Anche la società occidentale fatica a ricordare lo sterminio armeno: l’ONU ha riconosciuto il genocidio nel 1985 e l’Italia nel 2000. Di contro la Chiesa apostolica armena venera i martiri del genocidio come santi. Gli armeni nel 1967, annessi all’URSS dal 1920 e ancora perseguitati per il loro credo religioso, riuscirono a ottenere dalle autorità sovietiche il permesso di costruzione del Memoriale del Genocidio: un riconoscimento importante e insolito nel regime sovietico. Un lungo viale con a lato un muro di basalto, dove sono inscritti i nomi della città dei massacri, porta al Memoriale composto da una stele alta 44 metri e divisa in due parti. Vicino alla stele si ergono 12 lastre sempre di basalto disposte a cerchio e inclinate verso lo spazio interno, al centro del quale brucia una fiamma in ricordo delle vittime. In uno spazio adiacente è stato costruito nel 1995 un museo che espone pannelli e documenti del genocidio armeno. All’intorno c’è il Giardino dei Giusti, dove da parte di personalità sono stati piantati gli alberi per ricordare le persone straniere (i giusti) che hanno aiutato gli armeni. Sono visibili anche gli alberi piantati da papa Giovanni Paolo II e da papa Francesco.
Ogni 24 aprile gli armeni, benché attualmente provati da una lunga crisi economica e dalla povertà dopo la dissoluzione dell’URSS e la proclamazione della Repubblica d’Armenia nel 1991, risalgono la Collina delle Rondini per posare un fiore sulla base circolare che circonda la fiamma accesa in ricordo delle vittime.
Anche io, assieme a mia moglie Donatella e ai miei compagni di viaggio, ho deposto un piccolo fiore e in silenzio ho meditato sulle sciagure e sulle speranze di un importante e singolare popolo del Caucaso.
articolo di Fabriano D’Arrigo