Giubileo 2025 a Roma
Terra Santa tra memoria e desiderio
Nessun altro sentimento attrae gli uomini a Gerusalemme se non il desiderio di vedere e toccare i luoghi dove Cristo fu fisicamente presente e poter così dire della propria diretta esperienza: siamo entrati nel suo tabernacolo». Così alla fine del IV secolo il vescovo Paolino di Nola descriveva in una lettera a sant’Agostino la dimensione esistenziale del pellegrinaggio in Terra Santa, che per secoli sarebbe stata al centro della predicazione e di innumerevoli vicende personali di espiazione e di fede. Poi, ribaltando il senso del pellegrinaggio, si opera un trasferimento di reliquie sacre verso l’Occidente. Fino all’affermazione di Roma nel XIV secolo come centro della Chiesa, città sacra per eccellenza. Come avviene questo rovesciamento? Da Gerusalemme Paolo aveva intrapreso il viaggio verso Roma. Ma era un passaggio che aveva avuto bisogno di mediazione: a distanza di secoli le peregrinazioni ad Antiochia, Efeso, Tessalonica, Corinto sembrano anche aver svolto la funzione di gettare un ponte fra due mondi geograficamente e culturalmente distanti. All’interno di un mondo pagano largamente ostile al giudaismo, spiega lo storico Charles Perrot, il passaggio del messaggio cristiano diventava pericoloso: erano necessarie tappe di una mediazione culturale e religiosa. Le città dove Paolo sosta prima di arrivare a Roma permettono di operare un doppio cambiamento: quello dei pagani che si convertono al monoteismo e affermano la loro fede in Gesù, e quello dei giudeo-cristiani che cambiano il loro modo di guardare ai non ebrei.
Nasce così, rimarca Perrot, «una nuova geografia dell’evangelizzazione in cui, da un lato, Pietro milita fra i circoncisi della diaspora circondati dai loro timorati di Dio, e dall’altro Paolo predica ai non ebrei che non hanno legami con i circoncisi». Tanto che le lettere agli Efesini e ai Romani esprimono proprio la preoccupazione di Paolo di lanciare un ponte fra i diversi movimenti e sensibilità che attraversano i credenti, e di costruire quella unità ecclesiale già radicata in Cristo e tutta in divenire (Ef 2, 2-11). Apostoli e martiri. Nel II e III secolo (cfr pp. 32-33) nasce il culto sulle tombe degli apostoli e si instaura una sorta di osmosi fra la comunità giudaico-cristiana di Roma e le prime comunità di pagani convertiti al cristianesimo: le catacombe ebraiche romane potrebbero aver fornito i prototipi delle tombe paleocristiane. Fino ad arrivare all’Editto di Milano del 313 e alla saldatura politica fra Impero romano e cristianesimo. L’interesse per la Terra Santa nel IV secolo costituisce lo sfondo culturale della fondazione della basilica di Santa Croce, voluta dalla madre di Costantino per venerare le reliquie cristologiche portate dalla Terra Santa (cfr pp. 34-37) e per questo chiamata Hierusalem. Insieme alle basiliche dei martiri, questa basilica alle pendici del colle Esquilino ha rappresentato per secoli una dimensione cultuale differente, costituendo un legame con la topografia della vita di Cristo e soprattutto con Gerusalemme: così, rimarca lo storico Mario Sensi, si sarebbe attuata la «trasfusione» dalla Città «dove i suoi piedi si sono posati» e Roma, città santificata dalla crocifissione di Pietro, dalla decapitazione di Paolo, e dal sangue di tanti martiri.
La costruzione della basilica sessoriana, spiega il grande storico Ernst Gombrich, segnò anche una svolta nella storia sociale dell’arte occidentale: quando, nel 313, Costantino proclamò per il cristianesimo libertà di culto, la Chiesa si trovò costretta a rivedere tutto il suo atteggiamento verso l’arte. I luoghi di culto non potevano più essere poco appariscenti come era stato durante le persecuzioni. Così le chiese vennero costruite sullo schema di certe grandi sale note nel periodo classico con il nome di «basiliche», cioè «sale regie» che erano state adibite in passato a mercati coperti o tribunali. Da quando Elena fece edificare una simile basilica per adibirla a chiesa, il termine si applicò a tutti gli edifici del genere. Parallelamente, con la costruzione della chiesa dell’Anastasis (Resurrezione), sia a Gerusalemme che a Betlemme, Nazaret, Cana, gli altri luoghi dove Gesù è vissuto, si crea quello che il sociologo Maurice Halbwachs ha chiamato la «topografia leggendaria» della Terra Santa: una sorta di proiezione culturale in virtù della quale l’Occidente e l’Oriente cristiani costruiscono le tappe e gli itinerari di una nostalgia accesa dalla caduta della Palestina nelle mani dell’Islam, verso il 640, e rinnovata continuamente nel corso dei secoli. Queste rappresentazioni, racconta lo storico francese André Vauchez, sono diffuse da libretti guida (Itineraria Ierosolymitana, dei quali il più antico risale al 333) che configurano lo spazio sacro in funzione di una percezione selettiva: gli autori vi enumerano i luoghi che hanno visitato, ma non conservano che quelli citati dalle Sacre Scritture. Così il pellegrino conosce già quello che vedrà in loco ancora prima di essere arrivato.
«Un’immagine tanto più significativa e affascinante – spiega Vauchez – dal momento che alla realtà geografica ed urbanistica di queste città si sovrappone l’interpretazione escatologica che i Padri della Chiesa e la tradizione cristiana ne hanno dato». Ritornare alle radici. Questo legame fondamentale fra la Chiesa e la Terra Santa suscita ben presto un sentimento di frustrazione ed il vivo desiderio di godere del privilegio degli abitanti della Palestina. L’Oriente bizantino e l’Occidente latino cercano allora dapprima di costruire dei santuari la cui pianta riproduce quella del Santo Sepolcro di Gerusalemme: questo spiega la comparsa di chiese rotonde, tanto a Roma quanto nell’impero carolingio o nella Francia romanica, come ha documentato Renata Salvarani nel bellissimo saggio La fortuna del Santo Sepolcro nel Medioevo (Jaca Book 2008). Così Santo Stefano Rotondo a Roma, consacrata da papa Simplicio alla fine del V secolo, prima chiesa eretta all’interno del perimetro urbano, ricalca quasi fedelmente le misure del Santo Sepolcro costantiniano, ma aveva modelli e antecedenti diretti nella stessa città di Pietro. Il primo era la basilica di Santa Costanza, sulla Nomentana, voluta dalla figlia di Costantino poco dopo l’edificazione dei santuari di Gerusalemme e Betlemme, all’interno forse dello stesso circuito di progettisti e maestranze: lo schema a pianta circolare configurava così una comunicazione di spunti, più che un’imitazione lineare da modello a copia. La nuova Gerusalemme. In secondo luogo, inizia dal V secolo il processo di traslazione delle reliquie più prestigiose della Terra Santa verso altri luoghi. Un processo nel quale gli imperatori bizantini giocano un ruolo determinante: essi cercano di fare di Costantinopoli non una seconda Roma ma una nuova Gerusalemme e lo scrigno delle reliquie di Cristo, della Vergine e degli Apostoli.
Così compaiono la tunica di Cristo, la tavola dell’Ultima Cena, la pietra della tomba, vesti e veli di Maria, e altre reliquie. Questo tesoro ha costituito uno degli elementi fondamentali del prestigio dei sovrani bizantini, che lo conservano gelosamente e ne distribuiscono con parsimonia qualche pezzo in funzione delle necessità della loro politica estera. Oltre ai furta sacra come quello delle reliquie di san Marco, rubate dai veneziani ad Alessandria d’Egitto intorno all’829, aumentano i pellegrinaggi in cerca delle reliquie carnali di Cristo. E se lo scrittore Abraham B. Yehoshua ha ricostruito nel romanzo Viaggio alla fine del millennio le traversie nel cuore d’Europa dei mercanti ebrei e musulmani levantini nell’atmosfera carica di attese escatologiche, di fanatismo e di paure con la quale i cristiani vivevano l’approssimarsi dell’anno Mille, così il monaco francese Raoul Glaber (Rodolfo il Glabro, 980-1047 circa), uno dei maggiori cronisti del Medioevo, descrive nelle sue Storie gli impulsi di rinnovamento, la fioritura dell’architettura religiosa avvenuta in Europa alla fine del X secolo e l’ondata di pellegrini che si riversò nei Luoghi Santi come espressioni di un unico movimento spirituale: «Nel mondo intero, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, pareva che la terra stessa, come scrollandosi e liberandosi della vecchiaia, si rivestisse tutta di un candido manto di chiese». «Nello stesso periodo – racconta il benedettino – da tutto il mondo cominciò a dirigersi verso il Sepolcro del Salvatore, a Gerusalemme, una folla immensa, come mai nessuno prima di allora aveva osato sperare. Vi andarono persone della bassa plebe, poi delle classi medie, in seguito tutti i grandi, i re, conti, marchesi, vescovi e infine, come mai era accaduto, molte donne della nobiltà con altre più povere». Crociate e reliquie. La corsa all’appropriazione delle reliquie culminerà con le Crociate e proseguirà nei secoli successivi tra saccheggi, commerci e furti sacri, poiché ogni ordine religioso, ogni casata nobiliare vorrà soddisfare questa fame di sacralità. A partire dal XIII secolo cresce la devozione in San Pietro a Roma per la «Veronica» cioè la vera icona, «vera immagine» del Salvatore come le pie donne l’hanno potuta vedere durante la salita al Golgota. E nella Confessione sotto l’Altare di Santa Maria Maggiore compaiono i frammenti di legno che la tradizione vuole appartenere alla mangiatoia in cui fu deposto Gesù bambino, più tardi incastonati in un reliquiario di Giuseppe Valadier in cristallo e oro a forma di culla. Papa Niccolò III (1277-1280) fa costruire accanto al palazzo del Laterano la cappella del Sancta Sanctorum, dove riunisce le numerose reliquie accumulate nel corso dei secoli (cfr pp. 39-41). In realtà, la cristianità nel XIII secolo si impegna nella translatio (trasferimento) soprattutto dopo il fallimento delle ultime crociate e la caduta di San Giovanni d’Acri nel 1291.
Con le indulgenze il papato fa passare sotto il suo controllo i principali santuari occidentali chiamati a sostituirsi a quelli della Terra Santa: negli anni 1270 è citata l’esistenza di un’indulgenza plenaria «alla pari del Santo Sepolcro » concessa ai pellegrini che visiteranno la Porziuncola ad Assisi, culla dell’ordine francescano. Insieme ad un analogo beneficio concesso a chi si reca all’abbazia di Collemaggio all’Aquila, nel momento in cui Gerusalemme ritorna inaccessibile per i cristiani, i privilegi accordati a due santuari italiani segnano una svolta decisiva: il Papa stabilisce una equivalenza fra la visita a certi luoghi santi occidentali e la crociata o il pellegrinaggio oltremare, unici che fino ad allora potevano conferire a chi li compiva l’assoluzione da tutte le loro colpe e dalle pene inflitte dalla Chiesa come espiazione. Un processo che raggiunge il culmine con l’indizione del Giubileo del 1300, che da quel momento deve commemorare ogni cento anni l’anniversario della nascita di Cristo: «Così facendo – osserva Vauchez – Bonifacio VIII afferma la centralità della Chiesa romana nella cristianità e il ruolo del papa come colui che dispensa la grazia a tutti i fedeli». La sua decisione costituisce anche il punto di arrivo di un trasferimento di sacralità a vantaggio dell’Occidente iniziato molto tempo prima: già intorno al 1230 il vescovo di san Giovanni d’Acri, Jacques de Vitry, aveva scritto: «Gerusalemme è la madre della fede; Roma è la madre dei credenti».
Articolo di Manuela Borracini, pubblicato sulla rivista Terra Santa luglio-agosto 2014 ©