Pietre vive in Turchia
Santuario di Meryem Ana
Siamo fratelli, viviamo in fraternità, preghiamo individualmente e in comune, condividiamo insieme pasti e tempo, aiutandoci vicendevolmente a crescere, come in una famiglia. Le nostre comunità, che si chiamano fraternità, sono luoghi di gioia e di ospitalità.
Siamo una fraternità evangelica. Gesù di Nazaret è la nostra guida per condurre una vita semplice e umile in mezzo al popolo. La vita di Cristo, la sacra Scrittura, san Francesco e i suoi scritti costituiscono la nostra ispirazione.
Da Gesù siamo inviati a predicare Vangelo, prima di tutto con l’esempio della vita, in molti modi pratici: preghiera e contemplazione, lavoro pastorale, servizi sociali, ministeri di assistenza, attività missionarie, pubblicazioni e informazione, ecc.
Sin dall’inizio della storia del Ordine, i frati furono caratterizzati dallo spirito missionario, andarono quindi ad annunziare il Vangelo fino agli estemi confini del mondo.
I Cappuccini arrivarono in Turchia nel 1578. La prima spedizione missionaria era composta da soli quattro frati, tra i quali S. Giuseppe da Leonessa, i quali si diressero anzitutto verso Costantinopoli, la capitale dell’Impero, per poi dirigersi anche verso altri luoghi. Negli anni successivi, i Cappuccini portarono avanti eroicamente il loro lavoro apostolico nella terra santa della Chiesa, mettendo a repentaglio e talvolta perdendo la loro stessa vita.
Oggi nella Custodia di Turchia lavorano 16 missionari: nove italiani, tre polacchi, due turchi, un francese e un indiano. Essi operano in sei città: Istanbul, Smirne, Efeso, Mersin, Adana, Antiochia. I frati Cappuccini, nelle loro possibilità, cercano di mantenere la loro presenza nell’antica Asia Minore – in Turchia – allo scopo di valorizzare l’enorme patrimonio biblico-patristico, e mantenere l’eredità delle radici cristiane. La loro stessa presenza è una grande testimonianza del Vangelo in questa regione. Dopo tutto, è proprio qui in questa terra, che si formarono le prime comunità cristiane, è qui che la voce di S. Paolo sembra ancora risuonare in questi luoghi santi…
I Cappuccini sono giunti a Meryem Ana nel 1966 nella persona di fr Filibert de la Chaise, su invito dell’allora arcivescovo di Smirne – Alfred Cuthbert Gumbinger OFMCap. Fr Filibert è vissuto presso la casa di Maria da solo per circa 20 anni. Successivamente, nel 1986, gli vennero affiancati altri due frati francesi; infine dal 1990 il santuario è entrato a far parte della Custodia di Turchia.
Storia del Santuario
La storia moderna di Meryem Ana comincia nella prima metà del XIX secolo sulle rive tedesche del Reno, in un villaggio della Vestfalia e nel letto di dolore di una contadina dei dintorni di Dulmen, Anna Katharina Emmerick (1774-1824). Immobilizzata da dodici anni tra i tormenti di un male inguaribile, ella ebbe il conforto di particolari visioni riguardanti la vita di Gesù e di Maria Vergine.
Nel penultimo capitolo di questo libro si legge : “Dopo l’Ascensione di Cristo, la Madonna visse tre anni a Sion (Gerusalemme), tre a Betania e nove a Efeso, dove Giovanni l’aveva accompagnata poco dopo che i Giudei avevano abbandonato Lazzaro e sua sorella in mare. Maria non abitava proprio e Efeso, ma nei dintorni, dove si erano stabilite alcune sue amiche. La sua casa si trovava in cima a una montagna, a sinistra della strada che viene da Gerusalemme, a circa tre leghe e mezzo da Efeso”. Il prolungarsi di queste visioni, i particolari straordinariamente dettagliati di fatti, di luoghi e di persone che l’ammalata non poteva assolutamente conoscere, destarono prima curiosità e poi meraviglia e interesse non solo nell’opinione pubblica, ma anche in qualche intellettuale, come Clemens Brentano, il poeta del romanticismo tedesco, il quale verso il 1818 si stabilì a Dulmen come “segretario” della Emmerick. Giorno dopo giorno, egli annotò, fra l’altro, quanto Katharina diceva sulla vita di Gesù e della Madonna. Rileggendo più tardi il materiale raccolto, Brentano pensò di divulgarlo, e nel 1835 pubblicò un volume intitolato La dolorosa Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Dopo la sua morte (1842) si stampò anche La vita della Vergine Maria secondo le rivelazioni di Anna Katharina Emmerick.
A sud di Selcuk alcuni stretti sentieri portano in vetta a una montagna coperta di vegetazione selvaggia: verso la cima c’è un pianoro accidentato, anch’esso coperto di vegetazione e largo circa mezza lega: qui fu sistemata la residenza della Madonna. Si tratta di una regione solitaria, abbellita da colline fertili e’ dolci, con alcune grotte aperte su minuscoli spiazzi di sabbia; colline selvagge, ma non incolte, con radi alberi dal tronco liscio, ombrosi e a forma di piramide.
Quando Giovanni vi condusse la Madonna – per la quale aveva fatto preparare una casa – nella zona vivevano varie famiglie cristiane e alcune sante donne, metà in grotte adattate a casa con strutture di legno, metà sotto fragili accampamenti di tela.
Questa gente si era ritirata lassù prima della grande persecuzione. Avendo scelto le grotte come abitazione e gli anfratti naturali come rifugio, aveva residenze molto isolate, distanti qualche centinaio di metri fra loro, sicché l’insieme dava l’idea di fattorie isolate. Solo la casa della Madonna era in pietra. Un sentiero dietro la casa si inerpicava verso Li montagna dalla cima rocciosa, da cui era possibile vedere Efeso e il mare costellato di isole. Il luogo, appartato e solitario, è più vicino al mare che a Efeso, che è invece lontana dal mare alcune leghe”.
Il ritrovamento di Meryem Ana è legato a un fatto di cronaca conventuale. Suor Maria de Mandat-Grancey, superiora delle Figlie della Carità, addette all’ospedale francese di Smirne, ascoltando un giorno a mensa la lettura del brano di cui sopra della “Vita della Madonna” e sentendo descrivere i particolari riguardanti la casa di Efeso, chiese a Padre Jung e a Padre Poulin, due sacerdoti lazzaristi che insegnavano nel Collegio del Sacro Cuore di Smirne e che si recavano a celebrar Messa all’ospedale, di verificare la veracità di quelle “rivelazioni”.
Padre Poulin racconta quanto accadde in quei giorni in modo distaccato e quasi divertito. “Verso la metà di novembre del 1890 – egli scrive – alcuni sacerdoti di Smirne si ritrovarono in mano la “Vita della Madonna secondo le rivelazioni di Anna Katharina Emmerick”. Pur non essendo affatto favorevoli a queste presunte rivelazioni, essi lessero ugualmente il volume e rimasero stupiti dell’estrema semplicità del racconto, breve, ingenuo, sensato, al di sopra, cioè, di tutte le fantasticherie che erano convinti di trovarvi.
Negli ultimi due capitoli, la Emmerick dice che la Madonna abitò per qualche tempo nei dintorni di Efeso, in una casa preparata da San Giovanni e che lei descrive scendendo in particolari dettagliati e minuziosi. Particolari che non riguardano solo la casa, ma il luogo, il paesaggio, la posizione, le distanze, ecc.
Nacque allora in tutti il desiderio di controllare de visu la realtà di quelle affermazioni; e fu deciso di recarsi sul posto. D’altronde era l’unica cosa da farsi o per smentire tutto o per ammettere la veracità di tante affermazioni.
A capo della spedizione fu chiamato proprio l’avversario più accanito (Padre Jung). Egli prese con sé un altro sacerdote, reduce come lui dalla guerra del 1870 e come lui per nulla tenero verso le rivelazioni della Emmerick; ingaggiò anche un aiutante per il trasporto dei bagagli, un ferroviere, e si mise in cammino, deciso a setacciare la montagna per dimostrare una volta per sempre che le affermazioni della Emmerick erano infondate e così chiudere definitivamente la questione, sollevata dalle fantasticherie d’una povera illusa. Invece…
Il 29 luglio 1891, mercoledì, giorno dedicato a San Giuseppe e festa di Santa Marta, la piccola comitiva affrontò la montagna con tanto di bussola in mano e prendendo la direzione indicata dal libro. Verso le 11 del mattino i ricercatori arrivarono a una radura, dove trovarono alcune donne intente a lavorare il tabacco. In altri momenti forse si sarebbero meravigliati di vedere un campo a quell’altezza e con simili lavoratrici. A quell’ora, invece, sfiniti dal sole e dalla fatica, lasciarono da parte ogni stupore e gridarono tutti insieme: “Acqua, acqua”.
“Non ne abbiamo più – risposero le donne – ma se scendete al monastero, ne troverete”. E indicarono con la mano un boschetto a dieci minuti di cammino. La comitiva si mosse immediatamente verso quella direzione. Impossibile descrivere la sorpresa nel vedere, accanto alla sorgente, i resti di una casa, meglio ancora d’una cappella, seminascosti dagli alberi. Il pensiero corse subito al libro della Emmerick: il pianoro… le rovine… le rocce a picco… la montagna alle spalle… il mare davanti…
“Non si tratterà davvero della casa che stiamo cercando?” pensarono subito. L’emozione era profonda e bisognava accertarsi.
La Emmerick dice che, dall’alto della montagna su cui si trova la casa, si vede da una parte Efeso e dall’altra, molto più vicino, il mare. Dimentica della fatica, del caldo e della sete, la comitiva si arrampicò immediatamente sui fianchi della montagna e arrivò in cima. Ecco laggiù, a destra, Ayasuluk (Selçuk), il monte Pion e la pianura che circonda Efeso a ferro di cavallo; a sinistra ecco il mare e, vicinissima, l’isola di Samos. Non ci sono più dubbi.
La gioia della comitiva esplode. Nessuno, comunque, si lascia trascinare dall’entusiasmo per concomitanze che potrebbero essere accidentali; la prudenza suggeriva di approfondire tutti i particolari prima di pronunciare giudizi, e soprattutto prima di parlarne ad altri. Per due giorni furono esaminati minuziosamente la casa, il terreno all’intorno, la posizione, ecc., confermandosi sempre più nella convinzione di aver scoperto quello che quasi tutti erano certissimi di non trovare. Dopo di che la comitiva tornò a Smirne per comunicare ad amici e nemici il risultato della spedizione.
Quindici giorni dopo, il 13 agosto, si recò sul posto una seconda spedizione per controllare il lavoro della prima. Non solo furono confermati i risultati acquisiti, ma si notarono alcuni particolari a favore delle rivelazioni della Emmerick, sfuggiti ai frettolosi di luglio.
Si organizzò allora una terza spedizione -19-23 agosto – composta da colui che era stato a capo della prima e da quattro o cinque laici scelti. Essi restarono sul posto una settimana, misurando, disegnando, fotografando e rilevando con estrema esattezza qualsiasi cosa potesse interessare. Tornando a Smirne portarono carte, schizzi, disegni e fotografie, ma soprattutto portarono la certezza di aver trovato quanto descritto dal suo letto di dolore dalla Emmerick, e che non c’era più bisogno di cercare altrove. Intervenne allora l’autorità diocesana, confermando in qualche modo quanto era stato acquisito.
Il 1 dicembre 1892 Monsignore Andrea Timoni, arcivescovo di Smirne (da cui Efeso dipende), volendo rendersi conto personalmente di quanto gli era stato riferito, salì a Panaya Capouli con una dozzina di persone, tra laici ed ecclesiastici. Egli ebbe così modo di controllare direttamente le somiglianze fra la casa che aveva sotto gli occhi e le descrizioni della Emmerick. Stupito e sorpreso anche lui, imbastì subito un processo ufficiale nel quale, fra l’altro, è detto: “E arrivato il tempo di dire al mondo cristiano: giudicate voi stessi se quanto è stato trovato è o non è la casa abitata dalla Madonna durante la sua permanenza a Efeso”.