Cronaca di una giornata pasquale a Gerusalemme
Immaginando di essere in Terra Santa per la Pasqua 2021
In questi giorni la memoria corre a Gerusalemme e per la prima volta mi accorgo quanto gli eventi dell’ultimo anno abbiano dilatato gli spazi, rendendo ciò che prima era ad un lancio di sasso un miraggio lontano. Penso ai pellegrini del passato, spesso costretti a fermarsi prima di raggiungere la tanto desiderata meta, e fantasticando sulla loro storia viaggio con la mente fino a Gerusalemme.
Mi ritrovo in cima al Monte degli Ulivi presso la chiesa di Betfage, dove alcuni affreschi ritraggono Gesù mentre entra trionfante a Gerusalemme: riesco a sentire i canti di gioia della folla e a vedere le palme agitate al vento che annunciano l’ingresso di un Re. Un piccolo particolare cattura la mia attenzione: è l’inconsueta cavalcatura di Gesù, un asino. Alcune interpretazioni rabbiniche affermano che Abramo, giunto sul Monte Moria in groppa ad un asino per sacrificare il figlio Isacco, tornò a casa camminando, lasciando, dunque, l’asino nei paraggi per il futuro Messia: e Lui sapeva dove trovarlo!
I segni profetici non mentono: Gesù è colui che libererà il popolo dalla schiavitù!
Le cose però non vanno esattamente come tutti noi ci saremmo aspettati: seduta sulla terrazza del Dominus Flevit – che si trova circa a metà del Monte – guardo Gerusalemme in tutta la sua bellezza, e mentre il mio sguardo corre là dove sorgeva il Tempio, ripenso alle parole del Vangelo “quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa” (Lc 19,41).
L’oro che si irradia dalla Cupola della Roccia tinge di arancione la spianata dove allora sorgeva il Santo dei Santi, il luogo della shekinah, della presenza di Dio ed ecco che la piccola chiesa alle mie spalle, progettata a forma di lacrima, rivela tutto il senso della tristezza e del dolore per una città che non ha compreso.
Giunta ai piedi del Monte e dopo essere entrata dalla Porta dell’immondizia, risalgo la città, dove mi aspetta un momento speciale: la Pesach si avvicina e nella stanza superiore del Cenacolo la mensa è pronta. Quella che dovrebbe essere una festa, improvvisamente, si trasforma in un momento complicato, quando Gesù, a tavola con gli apostoli, annuncia la sua imminente morte e il tradimento. Tutti i discepoli attoniti si sentono chiamati in causa, è l’apice della crisi e della disillusione: qualcosa è andato storto! La gioia e le aspettative hanno lasciato il posto alla paura, all’inquietudine e all’incomprensione. La promessa è stata smentita, il sogno che era sul punto di realizzarsi si è trasformato nel giro di poche ore nel peggiore degli incubi. Giuda e Pietro diventano i protagonisti di questo triste epilogo, Giuda lo consegnerà e Pietro lo rinnegherà.
Seguo i suoi passi e mi dirigo lungo un’antica strada romana che, costeggiando il fiume Cedron, conduce ad un podere ai piedi del Monte degli Ulivi, chiamato Getzemani. Gli otto ulivi dell’epoca di Gesù sono oggi i testimoni viventi di questa lunga notte di agonia, segnata dal silenzio di Dio, dal sonno dei discepoli e dal dramma dell’arresto. Tuttavia, in questo momento di angoscia, proprio nel punto più basso, nel momento di massima frustrazione, in maniera del tutto inaspettata, si dipana il mistero infinito dell’amore di Dio: “il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?” (Gv 18,11).
Gesù viene arrestato e inizia la sua strada verso il Calvario. Non si conosce con esattezza per quali strade fu condotto, ma come ha detto di recente padre Alliata: i luoghi sono importanti ma non sacri, solo la memoria è sacra.
Entro dunque dalla Porta dei Leoni e mi accingo a percorrere quella che la tradizione identifica come la via Crucis: Prima stazione , il lithostrotos, Gesù è condannato; Seconda stazione, viene caricata la Croce sulle sue spalle; Terza stazione, cade; Quarta stazione, incontra sua madre; Quinta stazione, Simone il Cireneo lo aiuta a portare la Croce; Sesta stazione, la Veronica gli asciuga il volto; Settima stazione, cade per la seconda volta; Ottava stazione, parla alle donne; Nona stazione, cade per la terza volta.
Sono giunta nel suk arabo e, inebriata dal suono alternato delle campane delle chiese, dal canto del muezzin, dai profumi del pane, delle spezie e del tè, dalla confusione dei pellegrini che si accalcano e dalle voci dei venditori arabi che offrono la loro merce, se non fosse per i due profondi occhi neri che mi stanno offrendo un bicchiere di succo di melograno, mi sentirei persa. Mi indicano una ripida scala, la risalgo e mi ritrovo sopra una terrazza che in realtà scopro essere la mia meta finale: il Santo Sepolcro, cuore e centro per tutti i cristiani del mondo. Scendo e poi risalgo seguendo i passi della tradizione che ben riflettono l’oscuro labirinto che avvolge l’anima.
Ecco il Calvario, una roccia bianca, duemila anni fa una collina, luogo scelto dai romani per crocifiggere i nemici, i delinquenti, i malfattori. E’ l’Undicesima stazione, dove Gesù viene inchiodato alla croce: osservo, prego e appoggio la mano e poi scendo per dirigermi poco più in là, dove sorge quello che viene chiamato il posto delle sante donne. E’ il luogo che preferisco perché probabilmente è proprio da qui che Maria vide suo figlio morire. Gesù è alla fine della sua vita terrena e vive questo momento con tutta la sua umanità, gridata in un’unica parola, Abba, un termine familiare, evocativo, simbolo di quell’amore eterno e incondizionato che appartiene solo a Dio. Ora scenderà dalla croce e si rivelerà al mondo! E invece non accade nulla, rimane inchiodato come un delinquente qualunque, accettando di passare per farabutto e maledetto proprio come i due ladroni crocifissi accanto a lui. Non solo non scende dalla Croce, ma, nel momento in cui tutto sembra finito per sempre, come se nulla fosse, parla con uno dei ladroni e perdona coloro che lo stanno uccidendo.
La confusione è tanta e la paura prende il sopravvento; tuttavia, accanto alla sensazione della fine nel profondo del cuore sorge una domanda: e se il mistero fosse proprio questo? Se Gesù scendesse e si rivelasse non sarebbe più credibile che morire spaventato e sofferente come un uomo? E’ il più grande insegnamento che possa lasciarci: le parole rivolte al ladrone, il perdono dei suoi carnefici e l’amorevole cura con cui consegna la madre al discepolo amato lasciano, infatti, la Morte attonita e disarmata. Il suo travolgente messaggio d’amore è la chiave della vera vita e la morte non può che arrendersi. Gesù allora si dona per tutti i Giuda del mondo, per tutta l’umanità! Nel massimo annichilimento Dio si svela all’uomo, è Dio che ha consegnato se stesso.
Essere a Gerusalemme e poter vivere questo momento riempie di senso l’intera esistenza, presente, passata e futura. Dalla morte alla buona notizia il passo è breve ed è per questo che oggi entrerò in una Tomba Vuota e, nel momento in cui appoggerò le mani sul freddo marmo, sentirò il cuore sorridere di felicità. Questa sensazione di pienezza è la Resurrezione, evento difficile da raccontare perché è un mistero, un mistero che, a mio parere, si rivela in tutta la sua potenza osservando l’affresco di Piero della Francesca, conservato a Sansepolcro, nel quale dalla morte – rappresentata dagli alberi spogli – attraverso il Cristo crocifisso, la vita – simboleggiata da alberi rigogliosi e verdeggianti – rifiorisce e si rinnova.
Anche se lontani dalla nostra amata Gerusalemme, questo percorso, fatto con la memoria e l’immaginazione, comunica al cuore la certezza che, anche quando tutto sembra perduto, anche nel punto più basso delle nostre vite, noi rimaniamo sempre il sogno di Dio.
articolo della nostra collega Francesca Arnstein