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Il reliquiario della Passione nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme
Nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme si sovrappongono tre tradizioni: la storia del palazzo Sessoriano, la vita dell’imperatrice Elena, le leggende intorno a quelle che vengono ritenute dalla tradizione le reliquie della Croce.
Ha rappresentato per secoli la più antica memoria della Croce nel mondo occidentale. E ad essa si deve la fama ininterrotta di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino: è nel nucleo del Palazzo Sessoriano in cui viveva, e che sarebbe diventato la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, che l’anziana imperatrice volle portare quelli che riteneva i frammenti della Croce rinvenuti a Gerusalemme tre secoli dopo la crocifissione. Da 17 secoli è in questa chiesa più volte rimaneggiata, per 500 anni sede di un monastero cistercense e dal 2010 sotto il vicariato di Roma, che vengono offerte alla venerazione dei fedeli quelle che vengono considerate alcune fra le reliquie più importanti della cristianità. La costruzione della basilica conosciuta come contenente il «lignum Sanctae Crucis» affonda le radici in una sala rettangolare di 39 metri di lunghezza, 25 di ampiezza e 22 di altezza, databile intorno al 225 d.C., parte di una villa suburbana che venne smembrata per consentire la costruzione delle Mura Aureliane. «Varie evidenze archeologiche ed epigrafiche indicano la trasformazione nel IV secolo dell’antico complesso romano in chiesa cristiana», spiega l’archeologo olandese Sible de Blaauw nel volume Gerusalemme a Roma. La basilica di Santa Croce e le reliquie della Passione a cura di Roberto Cassinelli ed Emilia Stolfi (Jaca Book 2012). È in un passo della vita di papa Silvestro, ricorda lo storico, il Liber pontificalis redatto nel VI secolo, che si fa menzione dell’esistenza a Roma di una basilica, di una chiesa chiamata Hierusalem e di un reliquiario nel complesso del palatium Sessorianum che all’inizio del IV secolo ospitava la famiglia costantiniana: «Costantino Augusto – si legge – fece costruire una basilica nel palazzo Sessoriano: all’interno del palazzo collocò pezzi della Croce in un reliquiario ricoperto d’oro e di gemme; sempre al suo interno vi volle una chiesa che chiamò Gerusalemme, dedicazione che mantiene tuttora».
TRA STORIA E LEGGENDA.
Ma per molti anni la storia della basilica e quella di Elena non si sovrapposero: la biografia di Elena è circondata da un’aura di fonti scarne, discontinue, e molte leggende. Una fonte importante su Elena risale ad una sessantina d’anni dopo la sua morte. Il 27 febbraio 395 a Milano, residenza imperiale d’Occidente, durante l’elogio funebre dell’imperatore Teodosio I (379-395) il vescovo Ambrogio riferì che la madre dell’imperatore Costantino «aveva dato avvio alla ricerca della vera Croce». Una delle ragioni che spiegano l’oscurità intorno alla sua figura risiede nelle sue umili origini: Elena era di mestiere stabularia ovvero addetta alle stalle a Drepanum, sulla costa sudoccidentale del Mar Nero, nella Bitinia. Faceva dunque parte di quelle giovani serve che, negli ostelli del mondo romano, offrivano anche favori sessuali ai clienti. Intorno al 270-275 la giovane aveva conosciuto Costanzo Cloro, allora ufficiale dell’esercito, e l’aveva seguito nell’ascesa militare come concubina. Intorno al 280 gli aveva dato un figlio, Costantino; ma si era dovuta far da parte e vivere nell’ombra dopo il matrimonio di Costanzo, divenuto imperatore, con l’aristocratica Teodora. Fino al 306, quando Costantino succedette al padre: il figlio la richiamò a corte e le affidò il figlio Flavio Giulio Crispo. Dopo aver sconfitto il suocero Massimiano ed il figlio di lui Massenzio, Costantino promulgò l’Editto di Milano del 313: veniva riconosciuta la libertà di culto per tutte le religioni, ponendo fine alle persecuzioni contro i cristiani.
La vera svolta nel legame stretto e profondo che venne a stabilirsi tra cristianesimo e impero romano avvenne però nel 325, con il grande concilio ecumenico di Nicea, tenuto nel palazzo imperiale sotto la presidenza dello stesso Costantino, in cui si stabilì il simbolo della fede (Credo). «Con questo evento straordinario – rimarca lo storico Gaetano Passarelli – non solo vennero stabilite le direttrici dottrinali con le quali Costantino intendeva impedire che le dottrine ariane diventassero spinte centrifughe e destabilizzanti per le gerarchie ecclesiastiche e i fedeli del Medio Oriente, ma venne cementato il nesso tra politica e religione nell’Impero romano».
È in questo contesto politico che si arriva all’anno cruciale del 326: l’Imperatore aveva fatto uccidere il primogenito Crispo, il nipote Liciniano e la seconda moglie Fausta, per un presunto tentativo di incesto poi rivelatosi un’accusa infondata. In seguito all’immane tragedia familiare, Costantino si allontanò da Roma per dedicarsi alla fondazione di Costantinopoli e delegò il ruolo imperiale alla madre Elena, elevata nel 324 al rango di Augusta e nel frattempo convertitasi al cristianesimo. Forse per dimenticare i lutti, forse animata dalla Terrasanta luglio-agosto 2014 devozione a Cristo, forse per dare un valore fondativo alle forme della devozione cristiana, nel
327-328 l’anziana imperatrice intraprese il primo pellegrinaggio della storia sui Luoghi Santi, la cui memoria era stata cancellata dall’imperatore Adriano (117-138) che nel 135, quando aveva fatto costruire la colonia Aelia Capitolina (la Gerusalemme del II secolo), aveva ordinato che il Santo Sepolcro fosse coperto di detriti.
LA VERA CROCE.
Già dal 324 Costantino aveva dato ordine di costruire chiese «sulle tre grotte mistiche» della prima teofania (la Natività a Betlemme), dell’Ascensione sul Monte degli Ulivi e del Grande Lutto sul presunto luogo della tomba di Cristo (Anastasis, Risurrezione). L’imperatore aveva affidato al vescovo Macario i lavori di costruzione del complesso del Santo Sepolcro ed Elena verosimilmente visitò il cantiere. Questo episodio, o forse l’iniziativa di distribuire le reliquie ritrovate sul posto, avrebbe dato adito alla tradizione con caratteristiche prima anti-pagane (distruzione dei templi romani edificati sul Golgota e guarigione miracolosa di una donna toccata dalla vera Croce) e poi antiebraiche (Elena avrebbe sottoposto ad un interrogatorio un gruppo di ebrei, uno dei quali avrebbe rivelato sotto tortura il luogo esatto del Calvario) secondo cui durante gli scavi e alla sua presenza sarebbero stati ritrovati il Titulus Crucis – l’elogio che Pilato fece appendere sulla Croce di Cristo – e quindi tre croci: quella del Salvatore e quelle dei ladroni crocifissi con lui.
La tradizione del ritrovamento della «Vera Croce» il 14 settembre del 327 a Gerusalemme, già conosciuta da sant’Ambrogio, viene riferita da Rufino di Concordia (morto nel 410), e ripresa da scrittori successivi: l’imperatrice, la- sciata una parte del legno a Gerusalemme custodita entro un astuccio d’argento, e inviatane un’altra a suo figlio a Costantinopoli, volle portare con sé a Roma il Titulus Crucis, un chiodo della Croce, una parte della corona di spine e il braccio trasversale della croce di Disma. L’erigenda basilica Sessoriana ha avuto un ruolo di prima- ria importanza nella storia della Chiesa perché da quel momento avrebbe svolto le funzioni di memoria della Croce e del luogo dove questa era stata eretta.
UN SEGNO PER L’UOMO.
Con la venerazione del frammento della Croce, la chiesa Hierusalem divenne luogo della funzione papale del Venerdì Santo e tra le sedi principali della festa dell’Exaltatio Crucis il 14 settembre, entrambe tradizioni importate da Oriente. Ma in un momento imprecisato fra il 400 e il 700 un qualche evento provocò il cambiamento di rituale: «La spiegazione più plausibile – rimarca de Blaauw – è l’intervenuta scomparsa della reliquia originaria del Sessorianum e della sua preziosa custodia, forse durante i ripetuti saccheggi di Roma dopo il 400». Così, benché la chiesa occupi un posto unico nell’affermazione della Roma cristiana del IV secolo, dopo la scomparsa della reliquia della Croce che costituiva la sua ragion d’essere la chiesa perse di significato. Il nucleo del culto della Croce si trasferì in Laterano, e la chiesa venne relegata in secondo piano. Fu solo nel XII secolo e ancora di più dopo il ritrovamento nel 1492 del Titulus Crucis che la chiesa venne interamente rimodellata e una fiorente comunità di canonici fu fondata per servirla. Da allora è stata ininterrottamente mèta di pellegrinaggi. Ed è grazie alla spiritualità della Croce e alla presenza delle «vere reliquie», rimarca il cardinale emerito di Praga Miloslav Vlk (titolare della basilica), che questi luoghi continuano a rivestire «una speciale importanza per il mondo intero».
«Non perché le reliquie costituiscano solo un pio ricordo del passato – osserva – ma perché sono un segno per l’uomo moderno, che non è capace di integrare l’offerta, il sacrificio, la croce nella sua vita e di trovare in essa il senso per risolvere così i problemi dell’oggi, del mondo».
Articolo di Francesco Buranelli apparso sulla Rivista Terra Santa luglio-Agosto 2024 ©
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