L’antica città buddista più grande del mondo? E’ in Afghanistan
Articolo di Elisa Pinna
L’Afghanistan, ormai abbandonato da decenni dalle rotte turistiche e considerato uno tra i paesi più pericolosi del mondo, continua a rivelare tesori e siti archeologici di incalcolabile valore, che però rischiano di essere abbandonati o, peggio, distrutti dalle logiche di guerra o da appetiti economici.
A Mes Aynak, una vallata brulla, increspata di scavi e fortificazioni, non troppo lontano da Kabul, gli archeologi locali e internazionali hanno riportato alla luce una città buddhista dei primi secoli dopo Cristo, forse la più grande del mondo antico, con centinaia di templi, circondati da un panorama degno di Machu Picchu. Pietra dopo pietra sono riemersi dalla terra centinaia di monasteri a più piani, migliaia di statue, manoscritti, monete, monumenti sacri, mura. Tutto ciò edificato su strati di città più antiche, risalenti a migliaia di anni fa. In qualsiasi altra parte del mondo, si sarebbe gridato al miracolo, sarebbero accorsi gli esperti mondiali e milioni di turisti. Ma qui siamo purtroppo nell’Afghanistan del XXI secolo. Nel 2001, nessuno riuscì a fermare la furia iconoclasta dei fondamentalisti talebani che distrussero i colossi di Buddha scavati nella roccia della valle di Baniyam.
Fa riflettere che, al contrario di oggi, l’antica civiltà buddhista, dal II al VI secolo dopo Cristo, si sviluppò in un clima di convivenza e tolleranza assolute in Afghanistan. Mes Aynak era un centro spirituale di primaria importanza e si trovava in un’area estremamente civilizzata, punto di incontro non solo tra le grandi religioni asiatiche, buddhismo, induismo e zoroastrismo, ma anche di scambi culturali e commerciali tra antichi greci, persiani, culture dell’Asia centrale e indiane. “Era il centro del mondo”, afferma con orgoglio Abdul Qadir Temory, il capo della missione archeologica afghana.
Tuttavia, per poter disseppellire con accuratezza il sito ci vorrebbero decenni e enormi investimenti, ma il tempo stringe- come racconta il documentario “Saving Mes Aynak”. Il sito si trova infatti su un giacimento di rame dalle potenzialità enormi, dato in leasing ai cinesi nel 2007. Da allora è una battaglia senza tregua, tra chi vuole salvare la memoria e, un domani, il ritorno del turismo culturale in Afghanistan e chi pensa al profitto immediato. Grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica suscitata dal documentario “Saving Mes Aynak”, firmato dal regista Brent Huffmann e dallo stesso capo della missione archeologica Temory, il Ministero dell’Informazione e della Cultura afghano ha autorizzato poche settimane fa una terza fase triennale di scavi archeologici, che saranno finanziati dalla Banca Mondiale.
Una scommessa sul futuro per un Paese che negli anni sessanta e settanta era la tappa fascinosa di tanti viaggiatori e in particolare degli hippy europei, in un percorso parallelo alla via della Seta che approdava in India, in Nepal o a Bali. Per l’Afghanistan torneranno tempi migliori, si dice convinto l’archeologo Temory.
In fondo, fino a qualche tempo fa, chi immaginava che la Cambogia degli Khmer rossi sarebbe divenuta una meta turistica di primaria importanza?
articolo di Elisa Pinna