Racconti e leggende dall’Armenia
A cura della nostra corrispondente Anush Gasparyan
Un percorso denso e sorprendente attraverso miti, leggende, poesie, canti e storie armene che comincerà dai “piedi” del monte Ararat ove secondo il Libro della Genesi si posò l’Arca di Noè. Il tempo di arrivare dal paganesimo armeno agli confini orientali del mondo cristiano, che in antichità erano coincisi con l’Armenia, farà fiorire senz’altro in noi le affinità culturali degli armeni con l’Occidente. La distanza che separa, noi viaggiatori da questo paese sconosciuto e misterioso che si chiama Armenia, così diminuirà, strada facendo….
Anush Gasparyan, Storica National Geographic, 2019
Un viaggio in Armenia non è un semplice viaggio: si tratta di incontrare e conoscere un popolo e di assaporarne l’anima. E il modo migliore per conoscere l’anima di un popolo è ascoltare le loro storie e tradizioni.
La nostra collaboratrice armena, Anush Gasparyan, ha tradotto le principali leggende e tradizioni armene in italiano, perché “attraverso i suoi miti e le sue leggende è possibile guardare tutto il panorama del mondo armeno con il meritevole rispetto e trovare la giusta dimensione del viaggio in questa terra sconosciuta.”
Vi proponiamo di seguito alcuni di questi racconti, raccolti nel libro di Anush “Viaggio in Armenia. Attraverso Miti e Leggende”…buona lettura!
La dea Anahit e il suo riflesso
Più le leggende sono antiche più ci svelano la propria autenticità. In una di queste leggende si dice che la figlia di Aramazd, dio supremo della mitologia armena, si chiamava Anahit dai capelli dorati. Ma non si sa perché guardandola quasi tutti la chiamavano “Ani” che significa “la più bella”.
Nel Medioevo la più bella città, una delle capitali armene, era Ani. La sua bellezza era il riflesso terrestre del volto celeste della dea Anahit. Inoltre Ani era chiamata anche “la città delle mille e una chiesa”. Le strade arcate, le cupole dei templi maestosi circondati di giardini in fioritura, le vie sotterranee di comunicazione, tutto quanto dava un fascino unico alla città che fu progettata dal famoso architetto armeno Tiridate.
Ogni santa mattina gli abitanti accoglievano la dolce immagine della loro città come fosse il paradiso terrestre. Ma un terribile terremoto livellò la città raggiante della musica, la città-miracolo dell’architettura. Sparì dal mondo per sempre l’impronta pietrificata della dea Anahit. Eppure la bellezza della città di Ani si conservò nella memoria del popolo armeno e nelle pietre delle rovine ormai congelate.
Ove passeggiavano gli Dei
Questa è una storia che viene dai tempi pagani. Dicono che il Dio del fuoco e del fulmine, Vahagn, era una creatura avvenente e perfetta; per contro, aveva un carattere irrequieto e ardente. Non fu casuale di certo il giorno in cui nacque il simbolo del Cosmo, Vahagn, né come si espanse la gioia. Appena lo videro nascere gli dei gioirono. Vahagn ricevette danti doni da loro. La bella Astghik lo baciò sulla fronte con amore e legò alle sue mani il segno della pace e della guerra intrecciato dalle stelle così che la sua forza fosse eterna. Il luminoso dio Mitridate da parte sua gli donò lo scettro che era fuso da mille e uno raggi, era enorme e pesante. Quando Vahagn lo afferrò con le sue mani gli piacque molto. Egli volò dalla gioia al cielo come il vento ardente facendo svolazzare il suo scettro. Da allora lo si poteva vedere da solo nel cielo a scagliare il suo scettro.
Una volta lo gettò così lontano che lo perse di vista. Si mise a cercarlo camminando in tutto lo spazio cosmico per trovare dove era finito. Attraversò tanti pianeti ed arrivò alla Terra. Qui il dio trovò il suo scettro che si era incuneato nella crosta terrestre della pianura. E quando ci si avvicinò molto vide come brillavano le zanne dello scettro, vide anche con gran stupore quanto stretto esso era abbracciato alla flora. Rimase fermo per un po’, stordito dalla bellezza del luogo.
– Come è bello qui! Sia la montagna che la pianura! –
Sentì la voce della dea Astghik che si faceva vicina e quella del dio Tir che ridendo gli diceva:
– Nessuno di noi fino ad ora ha indovinato dove nascerà il dio della Terra.-
Decisero che proprio lì sarebbe nato il primo dio della Terra che avrebbe preso il nome di Hayk. Gli dei raccomandarono a Vahagn di porre la luce del sole sulla culla del bambino non ancora nato ed accudirlo, quando sarebbe venuto il suo tempo, con attenzione e tenerezza. Il luogo ove trovò dimora lo scettro di Vahagn fu chiamato Ararat e si comprese subito che era veramente il luogo più adatto per il riposo degli dei. Era così che gli dei trascorrevano le loro giornate: scendevano dal cielo a passeggiare sulle pendici maestose dell’Ararat.
Come nacque il lago sull’Ararat
Una leggenda antica corre sull’Ararat. Sulla cima del piccolo Massis esiste un laghetto con acque pure. Si chiama Anahit e fu creato dalle lacrime della dea armena che portava questo nome.
Raccontano che la madre armena della fertilità e del raccolto, Anahit dai capelli dorati, era innamorata dell’Ararat. Anahit non aveva sonno neanche le notti di luna e uscendo dalle acque di Araks si aggirava come una lunatica cercando i suoi fianchi massicci. Con parole tenere si rivolgeva al suo Ararat con amore e grande devozione come fanno la brezza e il venticello. Di giorno si afferrava ai suoi fianchi e gli donava carezze più ardenti del respiro del mezzogiorno che regna sulla pianura dell’Ararat.
I giorni passavano lentamente, senza risposta, pieni delle sofferenze dell’amore. Il silenzio dell’Ararat la martellava, e la sofferenza dominava il cuore e l’anima di Anahit. Ma un giorno dopo che fu riuscita a liberarsi della propria dignità femminile salì sulla cima del piccolo Massis. Avvolta con la nebbia del primo mattino si fermò lassù e da lì indirizzò parole d’amore ardenti al suo Ararat amato. Queste parole uscivano dalle sue labbra come uccelli mirabolanti, volavano sotto l’orecchio dell’Ararat, sulla fronte dell’Ararat, sulle spalle dell’Ararat. Ma l’Ararat era rigido nei suoi confronti, indifferente e molto freddo.
E Anahit delusa e ferita d’amore si inginocchiò sulla cima del piccolo Massis…solo le lacrime potevano attenuare il suo dolore che non si poteva placare…
Pianse a lungo Anahit e dalle lacrime del suo amore si creò il lago sulla cima del piccolo Massis.
Perché una rosa
Molto tempo fa gli dei iniziarono tra di loro la guerra. Assai prima degli uomini gli dei entrarono in contesa. Un giorno gli dei dell’Ade seppero dal Dragone Supremo che la forza del popolo armeno era incarnata nel dio Vahagn, seppero anche che la sua forza proveniva dall’amore verso la sua dea, Astghik. Dopodiché questi dei maligni decisero di rapire la dea. A lungo la seguirono e quando trovarono il momento giusto l’attaccarono riuscendo alla fine a trascinarla nel regno sotterraneo.
Da quel momento la gente si rattristò, gli sguardi diventarono tetri, la furia e il terrore s’impossessarono del popolo. La gente cominciò ad odiarsi, non sopportava le proprie canzoni e il riso, l’Ararat e il sole. Le mogli divorziavano dai mariti, il fratello alzava la spada sul fratello.
Neanche Vahagn poteva ritrovare la dea dell’amore, la sua Astghik, rapita dagli dei maligni. Le voci sofferenti dei poveri, i loro pianti spiacevoli, si sovrapponevano alla voce di Astghik.
– Come posso ascoltare la voce dell’amore in questo clamore dell’odio e della sfortuna? – chiese Vahagn a sua madre, Anahit.
– Finché non cerchi, finché non trovi la creatura che non perde mai il desiderio della vita, il bambino innocente, non troverai Astghik – rispose la dea Anahit – Sarà quel bambino a poter sentire la voce di Astghik.
In una famiglia povera Vahagn trovò quel bambino che appena lo vide gli sorrise allegro. Senza perdere tempo Vahagn corse per un sentiero che portava dritto ad una grande pietra. Divise in due la pietra e la dea dell’amore fu liberata dalla sua prigione.
Quando vide Ararat la dea non lo riconobbe. Ovunque erano cresciuti cespugli pungenti e triboli, e tra le spine dei cespugli strisciavano serpenti. E Astghik pianse. Le sue lacrime cadevano, cadevano a terra con impeto. E lì dove Astghik perse le sue lacrime crebbero belle rose il cui profumo indicibile si diffuse in tutte le parti del mondo. Astghik offrì fiori alla gente. I suoi sorrisi d’amore fiorirono in tutte le parti dell’Ararat.
Ed iniziò così per la prima volta l’adorazione delle rose: la festa di Vardavar. Rinacquero fiori ed alberi, ritornarono uccelli migratori. Le ragazze diventarono di nuovo spose, le madri gioivano appena sentivano le voci dei propri figli. Da allora la festa di Vardavar viene accompagnata da canti, danze e giochi. E gli innamorati si regalano rose.
L’uomo che vinse gli dei
Le vecchie credenze ci dicono che giorno e notte gli dei seguivano la vita degli uomini e si sorprendevano molto delle loro azioni. Un giorno il dio supremo Aramazd chiamò il dio del libro, Tir, e disse:
– Dio Tir, portami il tuo libro! Voglio leggere cosa succede nel mondo armeno.
In questo libro dio Tir annotava tutto sulla vita degli uomini. Aramazd sfogliò attentamente il libro.
– Che cosa hai scritto qui, Tir? – chiese il dio supremo – quest’uomo di nome Ara, veramente non si stanca mai di lavorare?
– Sì, questa è la verità, padre degli dei – rispose Tir – egli lavora senza tregua dalla mattina presto a tardi la sera.
– Ora vediamo come farà: presto io farò in modo che egli si stanchi di lavorare – disse il padre degli dei.
Aramazd accorciò i giorni ed allungò le notti. L’agricoltore Ara si sorprese che la mattina cominciava tardi. Ma egli alla sua ora con il buio si vestiva come al solito e cominciava a lavorare. In seguito Aramazd chiamò di nuovo Tir e lesse con grande sorpresa gli stessi appunti sull’agricoltore Ara.
– Senti, nobile scriba! Aggiungi nel tuo libro che Ara grazie alla sua instancabile laboriosità ha vinto perfino gli dei – disse Aramazd a Tir.
Il lavash che salvò il re
Secondo una vecchia leggenda l’Armenia antica aveva combattuto contro Nabucodonossor, il re dell’Assiria. Le guerre erano dirette da Aram, un uomo attento, ardente e patriota. Aram non tollerava vedere la sua patria calpestata e sfruttata dai popoli stranieri o dalle tribù circostanti, avrebbe preferito piuttosto morire.
Ecco cosa successe in una di queste guerre: Il re Aram fu preso prigioniero dal suo nemico, il che però non significava che era stato definitivamente vinto. Per questo motivo Nabucodonossor gli fece una proposta:
– Tu non mangerai per dieci giorni e l’undicesimo giorno io e te ci misureremo al tiro con l’arco. Se tu mi vincerai significherà che sei più forte di me. In questo caso, e solo in questo, ti lascerò libero.
Tutta la notte Aram rimase assorto nei pensieri e la mattina successiva chiese di farsi portare un bello scudo dall’armata armena che si trovava lì vicino. Nabucodonossor acconsentì. I messaggeri del re dell’Assiria andarono dagli armeni e presentarono la richiesta di Aram. Per tutta una notte i soldati del re armeno cercarono di indovinare qual era la ragione nascosta nella sua richiesta. E finalmente indovinarono il significato della richiesta del loro re. Nascosero un lavash (pane azzimo) sotto lo scudo e lo consegnarono ai messaggeri di Nabucodonossor. E nessuno degli assiri sapeva che si poteva nascondere del pane sotto lo scudo di ferro perché ancora non conoscevano il lavash. Vedendo lo scudo Aram disse:
– Questo non è molto bello. Domani portatemi un altro scudo!
E così ogni giorno i messaggeri di Nabucodonossor portavano il lavash ad Aram. L’undicesimo giorno Aram e Nabucodonossor misurarono le loro forze al tiro con l’arco. Nabucodonossor era sicuro che Aram così com’era, affamato e distrutto, non avrebbe avuto la forza per competere con lui. Ma Aram uscì dalla gara vincitore e tornò con gli onori alla sua patria. Il lavash lo salvò! Dopo essere ritornato in Armenia il re comandò che da allora in poi tutti i tipi di pane in Armenia si chiamassero lavash.
Ays e Van
Uno dei laghi di montagna più estesi al mondo, la perla armena, Sevan, si chiamava nell’antichità anche mare Ghegama, essendo situanto tra le montagne omonime.
Secondo la leggenda i monaci di Van vennero a Sevan e videro in mezzo al lago una bella isola. Attorno c’era un silenzio stupefacente ed i monaci meravigliati esclamarono: – “Ays e Van” che significa “Questo è Van”, un luogo ideale per abitarci. Così l’isola ed il lago si chiamarono Sevan.
Secondo un’altra leggenda invece nei tempi remoti ci viveva un gigante coraggioso che era avvenente, aveva capelli ricci ed occhi azzurri. Egli si svegliava la mattina presto, prendeva la sua lancia ed entrava nel lago. Era un bravo nuotatore e la gran parte della giornata la trascorreva nelle acque del lago. Quel gigante che si chiamava Sevan vigilava ovunque ed appariva all’improvviso sulle sponde del lago dove c’era il nemico. E la sua lancia infallibile distruggeva il nemico che annegava nel lago o fuggiva subito. Ed il lago prese il nome di questo gigante discendente di Hayk e si chiamò Sevan.