Racconto di un pellegrinaggio in Terra Santa
di Barbara Cozzi
Pubblichiamo il racconto della pellegrina Barbara Cozzi, che ha partecipato al pellegrinaggio in Terra Santa dell’IRC – servizio Insegnamento della Religione Cattolica per la Diocesi di Milano. Il racconto è stato pubblicato sul mensile “Informazioni IRC”, alle pagine 21-22.
Anche il naso vuole la sua parte…
Frate Mario Hadchiti è un giovane sacerdote francescano, parroco di Gerico, città palestinese a maggioranza musulmana, impegnato a costruire pazientemente ogni giorno un dialogo difficile quanto necessario. Racconta con occhi luminosi ed un largo sorriso la sua faticosissima esperienza, facendosi spesso il segno di croce e, curiosamente, prima di portare la mano alla fronte, si china a toccare la terra. È un gesto che colpisce, un segno semplice, ma straordinariamente efficace, benché inusuale ai nostri occhi. Chi ha avuto la grazia di visitare la Terra Santa intuisce immediatamente la forza di tale simbolo.
Israele e Palestina: un viaggio che ha deluso ogni mia aspettativa… e meno male! Perché, devo ammetterlo, non avevo capito nulla di cosa fosse un pellegrinaggio in Terra Santa.
Insomma, pensavo che partendo dalla lettura dei Vangeli avremmo visitato luoghi capaci perlopiù di offrire suggestioni evocative prive di un serio aggancio storico. Mi aspettavo che mi si raccontassero leggende, che mi si presentassero i siti in cui “si dice” che Gesù abbia fatto, abbia detto, ecc…
Niente di tutto ciò!
Si è trattato di un pellegrinaggio che mi ha costretto a rovesciare fin da subito alcune attese fuorvianti: non siamo partiti dalla Parola, infatti, bensì dalla “lettura della Terra”, alla scoperta di quella che il monaco benedettino Bargil Pixner (vissuto in Israele per più di 25 anni) chiama “la geografia della salvezza”. Ogni credente ha familiarità con la “storia della salvezza”, ma i più, soprattutto tra coloro che non hanno avuto la grazia di andare in Terra Santa, ignorano l’importanza di visitare i luoghi di vita di Gesù. Anche io ho a lungo sottovalutato questo aspetto, tanto che mi sono spesso rimproverata, durante il pellegrinaggio, per aver a lungo tergiversato prima di partire.
L’altro imprevisto “rovesciamento” riguarda la scelta di partire da Gerusalemme: gli itinerari proposti ai pellegrini solitamente prevedono prima la Galilea, seguendo il criterio cronologico della vita di Gesù. Ma il mistero di Gesù si comprende solo alla luce della sua passione, morte e Resurrezione. Sono questi gli eventi centrali, i soli capaci di rivelare l’identità del Cristo, il crocifisso risorto, illuminando anche tutto il precedente ministero pubblico di Gesù. Gli stessi Apostoli, pur avendo seguito Gesù nel suo cammino, sono descritti dai Vangeli come incapaci di capire, prima della Resurrezione e della Pentecoste.
Calpestando la Terra Santa ci è stato proposto un continuo esercizio di “decostruzione”:
– del paesaggio attuale, degli edifici oggi esistenti, per ricostruire con l’immaginazione gli scenari di epoche storiche antiche, con l’aiuto di reperti preziosi conservati nel sottosuolo. Abbiamo avuto il dono di guide competenti, appassionate, capaci di accompagnarci attraverso i secoli per indagare siti e ritrovamenti archeologici e storici di straordinario valore, anche con l’ausilio di ricostruzioni virtuali 3D molto funzionali (viva la tecnologia!). L’incarnazione è un mistero centrale per la nostra fede e ci obbliga a contestualizzare in un tempo e in un luogo ben preciso l’evento di Gesù di Nazareth.
– dei nostri pregiudizi e del nostro apparato culturale che ci impedisce di accettare la complessità di una Terra segnata da mille contraddizioni e conflitti. Evitare il giudizio di fronte a comportamenti e usanze “altre” non è sempre facile, ma qui è essenziale per poter gustare il dono del pellegrinaggio.
Se si lavora mentre cala il tramonto, l’arrivo graduale delle tenebre abitua l’occhio alla mancanza di luce… all’improvviso qualcuno preme l’interruttore… click… si percepisce un immediato sollievo e ci si sorprende di non avervi provveduto prima.
Ecco, il pellegrinaggio in Terra Santa è stato come accendere una luce nuova su ciò che già conoscevo, offrendomi la curiosità di rileggere lo stesso Vangelo che da sempre frequento con ulteriori e inaspettati strumenti di comprensione.
Entrare nelle viscere della terra per visitare ciò che rimane delle mura occidentali dell’antico tempio di Erode (il cosiddetto “Muro del pianto” è solo una piccola porzione di ciò che continua in profondità), toccare gli enormi blocchi di pietra cesellata, comunica l’imponenza schiacciante di quel luogo di culto sontuoso, capace di suscitare meraviglia e timore.
Sedersi come ha fatto Gesù sulle scalinate dell’antico tempio, scendere i gradini dei numerosi mikvé in cui avvenivano i riti di purificazione, scoprire il tracciato della strada romana che collegava Betania a Gerusalemme (riportato alla luce dagli scavi degli archeologi Francescani), addentrarsi nelle antiche cisterne scavate sotto la casa di Caifa (luogo di una possibile prigionia di Gesù), toccare la cima del Golgota, luogo della crocifissione, osservare l’architettura delle casupole di Nazaret scavate nella roccia e così via… visitare questi e molti altri luoghi consente di dare rilievo ad alcune annotazioni dei Vangeli che, altrimenti, non sarebbero comprese nella loro importanza. Quelli che spesso ci appaiono dettagli insignificanti, acquistano un valore nuovo.
Insomma, il Vangelo si legge con gli occhi, ma per seguire davvero Gesù, è utile anche calpestare la sua terra, fare esperienza delle sue stagioni, dei suoi colori, dei suoi odori, dei suoi panorami. Dall’aspro deserto di Giuda alle dolci colline di Giudea, dall’inquietante immobilità del Mar Morto, alla vivacità del pescoso Lago di Galilea, dalla piccola e insignificante Nazareth, alla grande e ricca Sefforis, alla fiorente e “globalizzata” Bet-She’an.
E si scopre che Gesù viveva a contatto con una realtà complessa, già culla di “contaminazioni” culturali che si rivelano feconde per fare risaltare l’assoluta novità e universalità del Vangelo e la sua necessaria inculturazione.
Anche il ricchissimo patrimonio artistico accompagna il pellegrino in un viaggio spirituale commovente… la bellezza si fa spesso lancinante, quasi dolorosa. Colpiscono soprattutto quelle che chiamerei “architetture teologiche” delle chiese progettate da Antonio Barluzzi, capaci di far entrare nei misteri della fede in modo immediato e avvolgente. Stupefacenti, sia per le strutture che per le decorazioni, spesso musive.
C’è stata poi un’occasione preziosa di incontro con l’oggi di questa Terra: la complessità dei rapporti israelo-palestinesi, la difficile convivenza di tante religioni, la straordinaria testimonianza dei cristiani che spesso sono una minoranza silenziosa, ma molto operosa.
Suor Lucia lavora come infermiera al Caritas Baby Hospital di Betlemme, in territorio Palestinese, oltre il muro costruito da Israele, in una struttura che offre assistenza a tutti, senza discriminazioni. Le donne musulmane che incontra ogni giorno la considerano pazza, per via di una cultura in cui essere moglie e madre è ancora l’unico modo per guadagnare un minimo di considerazione… forse hanno ragione loro, ci vuole davvero un amore folle per spendersi in un servizio così…
Violette, è una donna cristiana, araba di cittadinanza israeliana che ci ha raccontato la difficile realtà di coloro che lo Stato di Israele considera cittadini di serie B e sottomette a continue discriminazioni, spesso ignorate da noi occidentali. Una persona che invita alla speranza, che ha fiducia in un futuro migliore, che non si è lasciata vincere dalle intimidazioni, dalla tentazione del rancore e dell’odio, nonostante le innumerevoli ingiustizie di cui fa esperienza da una vita.
Di Frate Mario ho già parlato. Il suo segno di croce che fa appello alla terra forse risulterà anche a voi meno strano ora… toccare la terra è come richiamare l’ineludibile radicamento storico-geografico dell’evento della salvezza. A chiusura del pellegrinaggio, la citazione apposta sull’altare dell’Annunciazione “Verbum caro hic facto est” a Nazareth risuona con una vibrazione di straordinaria potenza emotiva…
Un grazie di cuore a don Michele e don GB che ci hanno guidato con sapienza, pazienza e slancio, sia nel percorso geo-storico-archeologico che in quello teologico-spirituale.
Leshanà habbà beJerushalaim
Barbara
P.S: se non siete ancora convinti dell’urgenza di partire, aggiungo che c’è un luogo che da solo vale tutto il pellegrinaggio. Visitare la Basilica del Santo Sepolcro di “buon mattino”, quando fuori è ancora buio, sostare qualche minuto nella tomba che ha accolto il corpo di Gesù senza l’assillo della coda dei pellegrini che preme per il proprio turno… beh, è un’esperienza indicibile.. Chinarsi a baciare la lastra della deposizione (cosparsa ogni mattina di olio di nardo dalle suore mirofore) consente di annusare il profumo della Resurrezione ed è una sensazione che prende davvero alla gola. Da provare. Che state aspettando?