“Shtisel”
Il mondo sconosciuto degli haredim
Il paradosso del nostro individualismo è di vedere il diverso solo nel suo essere parte di un gruppo senza entrare nella specificità della sua storia personale. In questo periodo di reclusione forzata, la consolatoria noia quotidiana si è improvvisamente interrotta grazie ad una serie televisiva,“Shtisel”. Questa fiction mi ha permesso di uscire dai miei confini e di entrare nella storia e nella vita quotidiana della comunità ultraortodossa di Gerusalemme, che vive invisibile, circondata da un “Eruv” (una recinzione rituale che permette agli ebrei osservanti di svolgere alcune attività anche durante lo Shabbat, giorno di riposo), separata e protetta dal resto del mondo.
I personaggi principali sono Kive, il protagonista, diviso tra il suo essere contemporaneamente un ebreo ortodosso figlio di un rabbino e un artista; Shulem il padre di Kive, rabbino e preside della Yehiva (scuola che si basa sullo studio dei testi religiosi tradizionali ebraici), rigido osservatore dell’ halacha e allo stesso tempo capace di teneri gesti come quando si occupa di un piccolo cane, animale considerato impuro, trovato da uno dei numerosi nipoti; Giti esempio della tipica moglie ortodossa, sempre incinta e sempre obbediente ma sconsolata alla notizia dell’ennesimo figlio in arrivo e stanca del marito; Ruchama la figlia adolescente di Giti che si strugge per amore; Nuchem la madre di Shulem, che scopre la televisione e ne diventa dipendente; Libbi divisa tra modernità e tradizione.
Questi personaggi mi hanno fatto scoprire una comunità fatta di esseri umani con le loro fragilità, i loro segreti, i loro sogni infranti, le loro gioie e le loro tristezze. In 24 puntate mi sono dimenticata tutti i giudizi stereotipati; Kive, Giti, Shulem, Nuchemnon non sono più degli estranei: la condivisione della loro storia li ha resi prossimi, la loro umanità ha sconfitto la lontananza ideologica.