Tornare dove tutto è iniziato
Una coppia di pellegrini racconta il viaggio in Terra Santa
Quando don Andres ci disse alcuni mesi addietro che in primavera intendeva organizzare un pellegrinaggio in Terrasanta, Nicoletta ed io, dopo qualche giorno di riflessione, decidemmo che avremmo partecipato con entusiasmo. Nicoletta era già stata in pellegrinaggio in Terrasanta con la nostra parrocchia del Farneto nel 2005, ed io l’anno prima sempre con la parrocchia avevo preso parte al pellegrinaggio denominato Cammino dell’Esodo, dall’Egitto attraverso il deserto del Sinai fino al monte Nebo, dal quale Mosè vide la Terra promessa al popolo ebraico, ma sulla quale non mise mai piede.
Andare o tornare là dove tutto è iniziato, dove sono le radici più profonde della nostra fede cristiana, posare i nostri piedi sulla terra sulla quale ha camminato il Signore è motivo di emozione profonda e di seria riflessione sul nostro essere credenti e più in generale sul nostro modus vivendi alla luce del Vangelo e degli insegnamenti del Cristo. Siamo particolarmente contenti di aver preso parte a questo pellegrinaggio di preghiera, di conoscenza e di visita di una terra ricca di storia, di spiritualità, ma anche di violenza e tante, troppe, contraddizioni. Un pellegrinaggio sui luoghi santi sapientemente organizzato, con la straordinaria guida spirituale, oltre che turistica-storica-archeologica, di fratel Lorenzo e che ci ha consentito di vivere un intero anno liturgico concentrato in una sola settimana. I ricordi sono tanti, da riordinare, ma rimarranno certamente nelle nostre menti e nel nostro cuore.
Nazareth, cittadina della Galilea abitata in gran parte da popolazione araba israeliana, con l’imponente Basilica dell’Annunciazione, luogo nel quale Dio attraverso l’angelo annuncia a Maria, umile ragazzina di un povero e defilato villaggio, che sarà madre del Figlio di Dio, il Salvatore del mondo. La visita alla zona archeologica a fianco della basilica, nell’area con grotte e povere abitazioni nella quale Gesù, prima bambino poi giovane, ha abitato, è cresciuto e vissuto per trent’anni, cioè per i nove decimi della sua vita terrena, nel silenzio e nell’anonimato totale è stata motivo di tante riflessioni sui nostri odierni stili di vita, sulle nostre ambizioni ed aspettative.
Betlemme, la città di Davide, oggi in Palestina oltre quella moderna vergogna del muro eretto dallo Stato di Israele per separare i territori palestinesi, il luogo dove è nato Gesù, il Messia. Che emozione entrare nella Basilica della Natività, oggi con splendidi mosaici ripuliti dalle ingiurie del tempo, inginocchiarsi nella grotta davanti alla stella d’argento che ricorda il luogo della nascita di Gesù e pregare umilmente, anche partecipando alla Messa, per noi, i nostri cari, l’umanità intera e chiedere il dono della Pace in questo mondo folle e martoriato dalla ferocia dell’uomo.
A Qasr el Yahud, sulle rive del fiume Giordano, oggi in territorio palestinese, tradizionalmente individuato come il luogo del Battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista, in una calda mattina di sole abbiamo rinnovato le nostre promesse battesimali, simbolicamente bagnati dall’acqua santa, perché in essa si è immerso il Signore, del Giordano, oggi confine tra Israele e Giordania, controllati da due annoiate giovani soldatesse israeliane e, dall’altra parte del fiume, da militari giordani.
La giornata sul lago di Tiberiade, o lago o mare di Galilea, il bacino d’acqua dolce più grande di Israele, con lussureggiante vegetazione da un lato e con le alture del Golan occupate da Israele sull’altra sponda, è stata particolarmente ricca di significati e motivo di riflessione e preghiera. Sulle sponde del lago, infatti, si è sviluppata gran parte della predicazione di Gesù. Nella Basilica sul monte delle Beatitudini abbiamo rinfrescato a noi stessi il modello, per molti aspetti difficile ed in aperto contrasto con i nostri modelli di vita, per vivere secondo gli insegnamenti di Gesù, essere Beati, dunque davvero felici ed entrare a far parte del Regno di Dio. Emozione grande ha suscitato in noi tutti la visita di Cafarnao, meglio dei resti archeologici (la Sinagoga ed in particolare l’abitazione identificata come la casa di Pietro) dell’antica città sulle sponde del mare di Galilea, dove Gesù abitò dopo aver lasciato Nazareth e qui iniziò la sua predicazione, compiendo numerosi miracoli. La Messa celebrata nella chiesa costruita sulla casa di Pietro ci ha consentito di pregare in continuità con la predicazione e gli insegnamenti di Gesù, di Pietro e degli Apostoli. Ricca di significati è stata poi l’uscita in barca sul lago di Tiberiade, il luogo di lavoro e fatica dei pescatori chiamati da Gesù ad essere suoi discepoli (Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo e suo fratello Giovanni) che generosamente lo seguirono abbandonando tutto. È il lago del quale Gesù calmò le acque in tempesta, sulle cui acque camminò, sulla riva del quale apparve ai discepoli dopo la Resurrezione e dove chiese per tre volte a Pietro “Mi ami tu?”, e ad ogni risposta affermativa rispose con la frase “pasci le mie pecorelle”, che da noi cattolici è considerato come il momento in cui Gesù affida a Pietro la Chiesa.
La Messa celebrata nella chiesa della Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor ci ha ricordato i sentimenti umani più che comprensibili di Pietro, che spesso coincidono con i nostri, di fronte alla visione del soprannaturale (“E’ bello Signore stare qui. Facciamo tre tende…”), ma anche il dovere che abbiamo di scendere dal monte per occuparci del quotidiano, delle fatiche e dei dolori che comporta, vivendo e praticando gli insegnamenti del Signore.
I due giorni e mezzo che abbiamo trascorso a Gerusalemme sono stati particolarmente intensi sia dal punto di vista delle visite ai luoghi santi che sul piano spirituale. La visita alla spianata dove sorgeva il Tempio ed ora svettano le due Moschee di Al Aqsa e della Cupola dorata ed in particolare del Kothel, che noi chiamiamo Muro del pianto, il luogo più sacro per l’ebraismo mondiale, ci ha particolarmente colpito per le forme di esternazione pubblica dei sentimenti di profonda religiosità di musulmani ed ebrei, rispetto all’interiorità e spesso alla superficialità con le quali noi cristiani esprimiamo la nostra fede ed i nostri sentimenti religiosi. Il prostrarsi verso la Mecca ed il pregare più volte al giorno dei musulmani o il salmodiare ad alta voce e muoversi ritmicamente durante la preghiera degli ebrei ci hanno colpito e fatto riflettere. La visita al Cenacolo sul Monte Sion, dove Gesù si è donato a noi nell’Eucarestia, e la Messa nell’attiguo convento francescano ci hanno fatto partecipi, in quel luogo sacro, alla sua mensa per ricevere il dono del suo Corpo e del suo Sangue. Una silenziosa camminata sotto le mura di Gerusalemme ci ha condotto al Getsemani, il giardino degli ulivi, dove Gesù ha sperimentato il tradimento di Giuda, l’angoscia per la passione che gli si prospettava, nel sonno dei discepoli, ed il suo arresto. La visita alla chiesa incompiuta del Pater noster, con il testo della preghiera insegnataci dal Signore riprodotta in un centinaio di lingue diverse, ci ha reso coscienti e partecipi dell’universalità della Chiesa. Siamo quindi arrivati al cuore del nostro pellegrinaggio, la Via Dolorosa, che attraversa la città vecchia di Gerusalemme, da noi percorsa in gran parte ricordando come Gesù camminò su questa stessa strada, su questo stesso acciottolato portando la croce, dopo che Ponzio Pilato lo aveva processato nell’antica fortezza Antonia, fino a raggiungere il monte Calvario oggi collocato nella Basilica del Santo Sepolcro, che gli ortodossi chiamano, forse più giustamente, Chiesa della Resurrezione. La consapevolezza di essere nel cuore della nostra fede, lì dove il Cristo è morto in croce per la nostra salvezza, è stato sepolto ed il terzo giorno è risorto è la grande buona notizia che a noi cristiani dà gioia. Il Signore è morto per noi ma ha sconfitto per sempre la morte donandoci, se lo seguiremo, la vita eterna. Il grande privilegio di aver potuto partecipare, all’alba del nostro ultimo giorno in Terrasanta, alla Messa all’interno dell’edicola del Santo Sepolcro, pregando per l’umanità e per la pace nel mondo, ha rappresentato l’apice del nostro pellegrinaggio. Il punto di arrivo, ma anche un punto di partenza nella vita di ciascuno di noi.
L’ottima organizzazione e la grande efficienza di chi ci ha guidato nel pellegrinaggio, ci ha consentito di avere incontri con persone che ci sono tutte rimaste nel cuore e ci hanno fatto comprendere il dramma del popolo palestinese, le criticità della difficilissima convivenza in Israele tra ebrei e arabi, scacciati dai loro villaggi e dalla loro terra e trattati da cittadini con assai meno diritti degli ebrei, la faticosa convivenza tra le tante espressioni religiose presenti su quella terra, tra le quali quella cristiano latina è di gran lunga minoritaria.
Ci sono tutti rimasti nel cuore. Rafic Nahara, vescovo ausiliare del Patriarcato Latino a Gerusalemme, da pochi giorni vescovo di Nazaret, di origine libanese. La signora Violette Khoury, mite ed anziana farmacista palestinese, laureatasi a Roma, che con la sua associazione “Sabael” sta cercando di dar vita forme di fattiva convivenza e riconciliazione tra donne di varia provenienza, che ci ha fatto venire un groppo alla gola ascoltando le vicissitudini e le difficoltà che ha dovuto affrontare nella sua lunga vita. La visita al Convento dei Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle di Gesù a Nazareth ci ha fatto scoprire la semplicità, l’estrema povertà e la misticità della figura di Charles de Foucauld, che prima di andare in Algeria nel deserto tra i tuareg ha vissuto più anni a Nazareth, e che il prossimo 15 maggio verrà dichiarato santo dalla Chiesa. Vincenzo Bellomo, giovane e dinamico responsabile della Caritas a Betlemme, con moglie palestinese e due bellissimi bambini, ci ha fatto toccare con mano e con esempi concreti la difficile vita dei palestinesi. Al Centro Laboratorio del Mosaico a Gerico, sorto sul luogo dove a lungo ha abitato don Giuseppe Dossetti, che a Bologna è rimasto nel cuore di tanti cattolici che hanno fatto politica o impegnati nel sociale, abbiamo potuto apprezzare la grande capacità di don Giuseppe di unire l’ascetismo alla concretezza del fare per la gente. Infine, a Gerusalemme l’incontro con padre David Neuhaus, gesuita, nato in Sudafrica da una famiglia di ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania negli anni ’30, convertitosi a 26 anni al cattolicesimo, che ci ha anch’egli raccontato, con ironia e sottile umorismo, delle difficili relazioni tra ebrei, cristiani e musulmani.
In tutti questi interventi ci ha colpito l’estrema pacatezza delle considerazioni offerteci, l’assenza di odio o di voglia di vendetta per quanto subito negli anni, il grande realismo nell’esporre la situazione ed affrontare la quotidianità, l’ottimismo del cristiano nel guardare al futuro. Un futuro che in sintesi, oggi forse una sintesi utopistica ma anche quarant’anni fa un Sudafrica senza apartheid, abolita nel 1991, dice padre David pareva pura utopia, può tradursi nel motto: Un solo Stato, due Popoli, tre Religioni.
Grazie dunque a Frate Sole, a don Andres, don Stefano, in particolare a fratel Lorenzo per la bella esperienza di fede e preghiera che ci avete fatto vivere.
Questo viaggio nella Terra del Signore ci rimarrà nel cuore e, forse, ci aiuterà ad essere un po’ migliori.
Infine, un caro saluto agli amici e compagni di viaggio coi quali abbiamo condiviso preghiera e gioia dello stare assieme.
Claudio e Nicoletta Pasini
Farneto, 22 marzo 2022